RITROVARE L’ARMONIA DELLA VITA ATTRAVERSO LE COSTELLAZIONI FAMILIARI SISTEMICHE

 

 Nel vasto scenario di terapie e tecniche che nel giro di pochi decenni si sono manifestate al grande pubblico in cerca di una maggiore consapevolezza, meritano un approfondimento speciale le Costellazioni familiari sistemiche elaborate e divulgate da Bert Hellinger nel corso della sua vita.

 

Spieghiamo intanto che il termine Costellazione è improprio perché non ha nulla a che fare con le costellazioni cui noi subito rivolgiamo il pensiero e cioè quelle celesti.  

 

Secondo Hellinger, un sistema familiare è come una costellazione celeste nella quale ogni elemento è una precisa stella, con una specifica conformità, con un suo preciso posto e lì deve rimanere per garantire l’armonia.

 

La tesi di questa psicoterapia, non riconosciuta scientificamente, sostiene che noi non siamo “liberi” nella nostra vita come pensiamo di essere. Attraverso quelli che Hellinger definisce “irretimenti”, accade spesso che senza saperlo ci troviamo in carico destini che appartengono ad altri che ci hanno preceduto nel nostro sistema familiare o che hanno avuto a che fare con esso.

 

Ma come può accadere che degli “innocenti” si trovino gravati di pesi non loro? Unicamente per una legge di compensazione, dove il sistema bilancia ogni torto, ogni esclusione, ogni abuso commesso ai danni di qualcuno che ci ha preceduto e che non è stato riconosciuto e onorato, caricando tutto questo su chi viene dopo. Una giustizia difficile da comprendere per il malcapitato di oggi ma al sistema poco importa su chi ricade il peso. Unico scopo di questo “ordine divino” è di mantenere presente l’anima dimenticata o non riconosciuta in modo che la sua memoria non vada persa.

 

Queste memorie riportano sempre profondi disagi come il senso di abbandono, di isolamento, le incapacità relazionali, le difficoltà con il denaro, con il lavoro, malattie e tanto altro fino ad arrivare, nei casi peggiori, a gesti estremi e inconsulti per sé e per gli altri.

Ed ecco che tutto ciò che ha a che fare con un “sistema” può essere indagato attraverso questa “metodologia” (la scrivente non è psicologa e quindi non in titolo a usare il termine “terapia”).

 

Alla comprensione che tutta la vita degli uomini è regolata da leggi che ne garantiscono il continuo equilibrio, Hellinger è arrivato non solo per esperienza ed intuizione, ma anche grazie al lavoro di illustri terapeuti, che l’hanno preceduto, su cui mi sembra doveroso fare un breve excursus.

 

Dall’inizio della psicoanalisi, datata con il famoso sogno fatto da Freud nella notte tra il 23 e 24 luglio 1895, di strada, se n’è fatta molta. Dal paziente sdraiato sul lettino e dal linguaggio tecnico del terapeuta, attraverso la sperimentazione,  nel corso degli anni sono state messe a punto nuove tecniche, grazie all’apporto dato da ognuno dei pionieri che si è cimentato con i disagi della mente umana.

 

Senza far torto a nessuno possiamo citare, come primo innovatore della psicologia classica, Jacob Moreno medico psichiatra nato in Romania nel 1890 e trasferitosi in seguito a Vienna con la famiglia.  Da sempre appassionato di teatro, durante gli studi di medicina fondò e diresse una compagnia di teatro chiamata “teatro della spontaneità” in cui gli attori sono bambini e adulti.

Una volta diventato primario in un ospedale infantile continuò il lavoro privato dedicandosi a emarginati, prostitute, detenuti con cui svolse diverse terapie di gruppo. Nel 1925 si trasferì negli Stati Uniti e nel 1936 fondò il primo teatro che ospiterà le rappresentazioni della terapia chiamata PSICODRAMMA.

 

La tesi alla base di questa terapia è che manifestando in modo conscio le nostre emozioni represse, attraverso la rappresentazione teatrale, è possibile liberarsi dalle emozioni dannose. Nello psicodramma si permette al paziente di mostrare sul palcoscenico ciò che esse sono nella vita, ma con maggiore libertà e spontaneità di quanto sia stato possibile nella realtà. Ed ecco, per esempio, che sul palcoscenico diventa più facile urlare l’odio e la rabbia che si prova verso un membro della famiglia interpretato da un “attore” estraneo alla cerchia parentale. Il paziente dopo lo sfogo si sente più leggero, a volte soddisfatto e apparentemente libero. E’ un primo passo, ma non dura…

 

La prima a lavorare con tutti i membri del nucleo familiare è la psicoterapeuta americana Virginia Satir. La sua formazione di maestra d’asilo la portò a diventare assistente sociale all’interno di una struttura ospedaliera, dove si interessò di pazienti emarginati. Collaborò anche con il Mental Research Institute entrando così a far parte dell’equipe di psichiatri, psicologi e assistenti sociali di Palo Alto. E’ stata la prima donna a dirigere l’Esalen Institute, un centro di psicologia olistica e psicoterapia negli Stati Uniti.

 

Ciò che le interessa è la comunicazione. Lavorando con le famiglie opera in modo che il dialogo sia aperto e diretto per rendere il sistema familiare più flessibile e aperto al cambiamento creando contemporaneamente un equilibrio che rafforzi la solidarietà tra i membri.

Attraverso il modello sistemico, secondo il quale tutti gli appartenenti al gruppo si influenzano reciprocamente e raggiungono un equilibrio stabile attraverso il riconoscersi come uguali sotto ogni punto di vista, si comincia con la ricostruzione familiare. In occasione di un seminario di alcuni giorni, si chiese ai partecipanti di arrivare dopo aver raccolto quante più informazioni possibili sulla propria famiglia di origine, andando indietro fino alla terza generazione.

 

Tale ricostruzione doveva essere fatta non solo con il recupero di fotografie, ma anche attraverso l’indagine della relazione che intercorreva fra i vari membri del sistema familiare. Si descriveva la qualità dei rapporti emotivi tra di essi, la situazione economica, la posizione sociale, le esperienze vissute dai nonni nel periodo bellico e post-bellico e così via. Ricostruire la storia della propria famiglia è un’esperienza molto forte in quanto permette di fare delle scoperte insospettate riguardo ai nostri antenati e quindi, sulle nostre radici psicologiche. Dove c’erano delle lacune, nella biografia del paziente e nella sua storia familiare, interveniva il gruppo che le colmava.

 

Poi per caso accadde una scoperta fondamentale. Un giorno una famiglia in terapia si presentò all’appuntamento senza alcuni familiari. Invece di annullare la seduta, la Satir usò delle sedie per rappresentare le persone assenti. Nelle sedute successive, i membri della famiglia rappresentavano se stessi mentre degli assistenti rappresentavano gli assenti . In questo modo emerse chiaramente che, se si mettevano delle persone estranee a occupare il posto di qualcun’altro, esse tendevano a sperimentare le sensazioni collegate a questa posizione (teoria dei campi morfogenetici di R. Sheldrake). La posizione assunta dalle persone e la loro distanza reciproca nello spazio rappresentano la profondità o la superficialità dei loro sentimenti reciproci.

 

Il passo successivo che ci interessa in questa breve analisi, fu fatto da Ivan Boszormeny-Nagy, psicoterapeuta ungherese che per via dei suoi studi in chimica era addetto ai trattamenti farmacologici dei pazienti affetti da malattie mentali. In particolare egli si occupa degli schizofrenici e a seguito di questo lavoro formula la teoria della TERAPIA CONTESTUALE. Secondo questa teoria, le relazioni sono determinate nella loro profondità da una dinamica chiamata etica esistenziale che opera attraverso delle “realtà invisibili” che agiscono sotto la superficie. L’elemento fondamentale nell’incontro tra un individuo ed un altro è l’etica relazionale, che si manifesta sotto forma di giustizia, equità e responsabilità reciproca.

Questi modelli comportamentali sono di natura transgenerazionali, il che significa che un’ingiustizia commessa e non espiata si trasmette alle generazioni future sotto forma di senso di colpa. Per questo, secondo Boszormeny-Nagy è probabile che l’individuo sia incluso nella gerarchia delle generazioni: la personalità conscia dell’individuo è irretita. La persona è incapace di intervenire in modo logico per prendere le distanze da questo blocco interiore semi-inconscio, che affonda le origini non solo nella storia personale, ma spesso nelle generazioni precedenti.

 

Quando il paziente resiste ad oltranza alle normali tecniche di psicoterapia, ci si trova davanti a questo tipo di dinamiche inconsce. Per Boszormeny-Nagy la lealtà è la forza che lega sia le famiglie che le organizzazioni e l’equilibrio tra il dare e il ricevere è la base per la stabilità di ogni rapporto. Per avere una relazione durevole e fruttuosa entrambi i partner devono dare in proporzione a quanto ricevuto, ma il processo si completa soltanto con l’aumento dell’autostima, e la stima reciproca si completa soltanto attraverso il riconoscimento di un io e di un tu. Un io non può essere completo senza un tu.

 

Ogni relazione comporta perciò la responsabilità per l’altro e per i suoi bisogni. Ultimo ma non meno importante dei punti precedenti è che chi dona ha il diritto di ricevere a sua volta. Se un diritto dovuto non è rispettato, continua a restare un diritto di fatto che si può trasformare in diritto distruttivo e finisce per danneggiare il soggetto e chi gli sta intorno. Un bambino ha il diritto di essere accudito e amato dai propri genitori, egli dipende da loro e loro devono pertanto potergli fornire tutto quanto gli necessita. Se questo non avviene, si crea uno scambio di ruoli naturali che avrà ripercussioni molto pesanti sulla vita di entrambe le parti.

 

Con Hellinger tutti questi percorsi si integrano e si sviluppano ulteriormente. La sua vita è stata ricca e affascinante. Nato in Germania nel 1925, a dieci anni entra nel collegio cattolico gestito dai missionari di Marianhill dove fa esperienza, grazie all’apertura dei missionari, di fecondi stimoli per le molteplici attività ammesse: sport, passeggiate, lezioni di musica, rappresentazioni teatrali, letture nella grande biblioteca interna.

 

Nel 1941, a causa della guerra, il collegio è chiuso e dopo un breve ritorno a casa Hellinger decide di entrare nell’ordine di Marianhill, dove conclude gli studi superiori. Entrato a far parte dell’esercito tedesco, durante l’esperienza al fronte è fatto prigioniero dagli americani, riesce a fuggire e nascosto in un treno, rientra in Germania. Entra nell’ordine trappista di Marianhill e finito l’anno di noviziato è inviato in Sudafrica come missionario. La zona in cui opera è quella abitata dal popolo Zulu ed egli resta impressionato dal rispetto che essi hanno per i loro genitori, da come le madri semplicemente sanno di cosa hanno bisogno i loro figli, dal rispetto che l’intera comunità ha per i suoi membri.

 

A quarantacinque anni, dopo venticinque anni di attività missionaria in Sudafrica lascia i voti e si dedica alla psicoanalisi, prima in Germania e successivamente negli Stati Uniti, dove ha l’occasione di incontrare terapeuti che con le loro idee innovative hanno aperto un varco alla nuova psicoanalisi. Alcuni sono stati citati sopra, ma  se ne possono aggiungere altri come Erick Berne, Carl Rogers, Milton Erickson ,Anne Ancelin Schutzenberger,  Les Kadis e Ruth Mc. Clendon.

Il lavoro di Bert Hellinger, al pari dei suoi predecessori, è stato straordinario e unico: la teorizzazione delle costellazioni familiari e la loro applicazione all’interno delle psicoterapie. E’ attraverso ciò che emerge dal campo - di cui spiegheremo successivamente - che l’irretimento si mostra e la causa del sintomo viene neutralizzata per dare l’avvio a quel processo di trasformazione che aiuterà la persona  a vivere la propria vita con meno pesi e maggior leggerezza.

 

Il grande apporto di Hellinger è di aver scoperto quali sono gli ordini che, se violati, provocano tanti disagi, sofferenza, malattie e a volte perfino la morte.

Queste regole, definiti da Hellinger “ordini dell’amore”, sono principalmente due e sono emanazioni di leggi divine.

Il primo recita che tutti quelli che fanno parte della nostra famiglia hanno lo stesso diritto di appartenenza. Sembra scontato, ma non è sempre così. Non appena si nega l’appartenenza a un membro della nostra famiglia, si viene a creare un disordine che avrà notevoli ripercussioni sull’ intero sistema.

 

Il caso più eloquente è quando qualcuno del nostro nucleo familiare è ucciso, quando si rifiuta un bambino con  l’aborto, o quando qualcuno è escluso perché ci si  vergogna di lui, come un bambino disabile o una persona colpevole di un fatto grave. Pensiamo cosa significasse per una famiglia, nel passato, ma in certe zone ancora oggi, avere una figlia incinta senza che il padre del bambino si assumesse le sue responsabilità, o avere un parente con crisi epilettiche, o qualcuno che aveva commesso una colpa grave, come ad esempio un omicidio o uno stupro. Una delle mie insegnanti - Marianne Franke-Gricksch, autrice del libro Tu sei uno di noi Ed. Crisalide- raccontò durante un seminario che in Austria, alla nascita del 14° bambino,. questo era esposto alla finestra, dove il vento gelido lo faceva morire.  L’uccisione dei bambini è’ atroce, ma è nella natura umana, accade ancora oggi ed ha motivazioni che trascendono la ragione umana. Altrimenti, come potrebbe Dio permettere tutto questo scempio? .

 

Prima di addentrarci nel vivo di questa “terapia”, dobbiamo chiarire quali sono i familiari che beneficiano del diritto di appartenenza. Innanzitutto i bambini, tutti, anche quelli abortiti, spontaneamente o volontariamente, quelli abbandonati e quelli dimenticati. Seguono poi i genitori con i loro fratelli e sorelle, anche quelli abortiti, abbandonati o dimenticati. I precedenti partner dei genitori – se importanti -  e poi i nonni e ancora indietro di alcune generazioni in casi particolari.

 

Emerge dalle costellazioni familiari che spesso l’irretimento di un figlio scavalca il genitore e si collega ai nonni o ai bisnonni, facendo quindi un salto generazionale (intervallo di terza o di quarta). In nome del diritto di appartenenza, come abbiamo già detto prima,  il sistema compensa questa estromissione facendo rappresentare l’escluso da un altro membro della famiglia, ovviamente inconsapevole di tutto. Questo perché al sistema non interessa che sia il responsabile di questa esclusione a farsi carico di ciò, il suo scopo è di ristabilire l’ordine e di unire ciò che è stato diviso.

 

Il secondo ordine fondamentale è quella gerarchia che stabilisce che ognuno di noi, all’interno del sistema familiare, ha un posto ben preciso, determinato dal tempo di appartenenza. Chi è nato prima ha la precedenza su chi è arrivato dopo. Dunque, i genitori hanno la precedenza sui figli, il primogenito sul secondogenito e così via.

Violare questa legge ha conseguenze pesanti, può decidere del successo o dell’insuccesso della persona e può perfino causare la morte nel senso più ampio della parola.

 

E’ molto frequente che la gerarchia sia violata inconsapevolmente.  Se, per esempio, all’interno di una famiglia due fratelli sono in perenne lite, potrebbe essere che il secondogenito, a livello animico, non riconosce il fratello maggiore, perché nato magari da una relazione tenuta segreta. Quindi secondo la regola di quest’ordine ci sarebbero due primogeniti all’interno della famiglia.

 

Un altro caso che si riscontra frequentemente è quello di un bambino che, sentendo uno dei due genitori attratto dalla morte, interiormente si offre al posto del genitore, attraverso un meccanismo inconscio che gli fa dire “mi ammalo io al posto tuo” o “mi prendo io la colpa al posto tuo”. In quest’ultimo caso è ovvio che il bambino, gerarchicamente più piccolo, viola questa legge con conseguenze pesanti, anche se la motivazione che lo spinge è l’amore, perché il bambino ama il genitore incondizionatamente ed è disposto a sacrificare tutto per lui, anche la vita. Non serve che la parola ”morte” esca nei discorsi fatti in casa, è una questione di anima ed essa non ha bisogno della parola per comunicare, è capace di contatti molto più profondi ed incisivi delle espressioni verbali.

 

Rispettare la gerarchia significa essere in pace poiché ognuno ha il suo posto, quello giusto per lui, quello che gli spetta, come le stelle appunto nelle costellazioni celesti , e questa è la condizione del successo nella vita quando tutti i conflitti sono superati e ci si trova riconciliati.

Anche la metodologia dello svolgimento di un lavoro di costellazione è significativa. Insieme al  costellatore o facilitatore le persone si dispongono in cerchio e lo spazio che sta all’interno è definito “campo”.

 

Questo campo, definito dal biologo britannico Rupert Sheldrake “ campo morfogenetico” è uno spazio d’interdipendenza e interconnessione e mi sento di aggiungere, per me, Sacro. Ogni cosa è connessa con tutte le altre e tutto influenza tutto. Lavorando, si entra in un campo energetico universale che include informazioni,  assenza di tempo in un eterno presente. E’ dinamico, quantico, continua a modificarsi e i partecipanti ne sono parte integrante.

 

Quando la persona vuole “guardare” al proprio disagio, (ma il termine migliore è “comprendere” dal latino com-prehéndere, prendere insieme) espone la sua richiesta al facilitatore e questi, in conformità a ciò che gli risuona di più nelle parole usate dal richiedente pone alcune domande sulla sua vita o su quella dei suoi familiari. Invita poi la persona ad alzarsi e a spostarsi nel centro scegliendo alcune persone significative, ad esempio i genitori o il fratello, o il sintomo stesso. Non importa se questi familiari sono vivi o morti (già Sant’ Agostino affermò che i morti non sono degli assenti, ma sono degli invisibili).

 

Ora, la persona al centro del campo abbandonando completamente la mente si apre al sentire del corpo,  dimenticando totalmente le idee preconcette e i giudizi che si era fatto all’inizio, mentre si trovava seduto in cerchio o durante il tragitto per arrivare al luogo dell’incontro. Il corpo sa dove deve andare e non è mai un caso se siamo scelti per rappresentare un personaggio. Sicuramente il vissuto di quella persona o il sintomo ha a che fare anche con noi se siamo chiamati a rappresentarlo. E’ da qui che si forma la teoria che il campo è cosciente.

 

Ricordo un caso eloquente all’interno di un gruppo, dove per rappresentare il padre defunto, che in vita svolgeva il lavoro di poliziotto, il richiedente scelse una persona la cui professione era la stessa e i due non si erano mai incontrati prima.

Dopo che il richiedente ha invitato e sistemato tutti i personaggi nel campo, compreso qualcuno che lo rappresenti, si siede e in silenzio aspetta. Alcuni facilitatori fanno entrare nel campo il richiedente stesso , nel suo ruolo. Nel mio percorso ho notato che di solito sono gli psicoterapeuti a fare questo poiché, secondo loro, la persona è maggiormente coinvolta nella responsabilità della sua richiesta. Non c’è una regola fissa, dipende dal sentire del facilitatore ed entrambi i modi possono ritenersi validi.

 

Le persone coinvolte, senza dover far nulla, se non lasciar andare la mente e seguire i movimenti del corpo, iniziano a muoversi, sospinte da un movimento nuovo che le fa spostare, girare, sedersi, stringere i pugni e così via. Da questi movimenti, in quest’assenza di spazio-tempo, ecco che tutto inizia a dipanarsi, l’irretimento incomincia a mostrarsi. Attraverso frasi appropriate fatte pronunciare ai vari rappresentanti dal facilitatore, spesso, tutti i figuranti trovano il loro posto e la pace regna sovrana all’interno del campo. Una pace tangibile, che tutti sentono e a cui tutti partecipano, anche quelli che sono rimasti seduti nel cerchio per tutto il tempo!

 

I giorni a seguire sono importanti. Ciò che è emerso deve restare custodito dentro di noi per almeno ventuno giorni, ma secondo alcuni anche di più. Non dobbiamo preoccuparci di niente. Qualsiasi cosa sia affiorata nel campo, il sistema lo “impara” e lo ingloba in un processo di trasformazione indipendente dalla nostra volontà a patto che ci rivolgiamo a questa modalità con il cuore aperto e con la consapevolezza che ciò che è emerso è ciò che è, e tanto basta. Non serve cercare di spiegare, capire. Semplicemente è.

Non mi stancherò mai di dire quale privilegio sia partecipare a una costellazione familiare. Ci troviamo nel campo a rappresentare qualcuno e subito facciamo esperienze che mai abbiamo fatto nella nostra vita attuale. Sperimentiamo la paura, la violenza, il fanatismo, il dolore ma anche la grande gioia, l’amore incondizionato.

 

Chiunque partecipi con una certa frequenza a incontri di costellazioni familiari vede questo costantemente e sempre è un’esperienza straordinaria. Ogni volta il campo ci riporta in una dimensione fuori dallo spazio e dal tempo e ci mostra che alla fine siamo tutte anime con lo stesso diritto di appartenenza, ognuna con il suo posto.

 

Ma la cosa prodigiosa è che ciò cui abbiamo assistito ci cambia profondamente e anche chi restasse scettico dopo una costellazione, che l’abbia messa in scena o che vi abbia soltanto partecipato è toccato nel profondo.. Man mano che osserviamo quello che emerge dal campo non possiamo più guardare a chi sta accanto a noi nella vita con gli stessi occhi. A poco a poco, non giudichiamo più. Tutto si apre a noi con una diversa consapevolezza, e nel collega sempre arrabbiato che ci aggredisce, non vediamo più un nostro nemico ma semplicemente un uomo che porta su di sé pesi non suoi, che non gli permettono di essere libero e gioioso come invece potrebbe essere o come avrebbe diritto di essere. Relazioni difficili e controverse trovano ora lo spazio per il riavvicinamento e l’armonia.

 

Questa è la potenza delle costellazioni familiari, la loro forza trasformatrice che  cambia noi  e il mondo intorno a noi.

Naturalmente, non sono miracolose in sé. Ognuno di noi ha il proprio destino e le proprie prove da affrontare e non sarà certo la messa in scena di una costellazione a cambiarlo magicamente. Ma le costellazioni ci aiutano tantissimo, dapprima sciogliendo gli irretimenti, che ci tengono agganciati ai nostri antenati e alla storia della nostra famiglia. Secondo la mia personale opinione, questo primo intervento è abbastanza semplice e veloce, a patto che si abbia il coraggio e la volontà di farlo e si tenga ben aperto il cuore per tutto ciò che si mostrerà durante una rappresentazione. Continuando poi su questo sentiero, potremmo addentrarci nella parte più profonda di noi, fino ad arrivare ad attraversare qualcosa di karmico che appartiene al nostro percorso millenario di anime. Ma questa è un’altra storia…

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

Bert Hellinger, Riconoscere ciò che è. La forza rivelatrice delle costellazioni familiari, Ed. Urra, Milano 2004

Bert Hellinger, Gli ordini dell’amore. Un manuale per la riuscita delle relazioni, Ed. Urra, Milano 2004

Bert Hellinger, Gabriele ten Hovel, Il lungo cammino Intervista al padre delle costellazioni familiari, Ed. Tecniche nuove, Milano 2006

Ursula Franke, Il fiume non guarda mai indietro. Fondamenti storici e pratici delle costellazioni familiari di Bert Hellinger, E. Crisalide, Latina 2005

 

PER APPROFONDIRE

 

Bert Hellinger, Gli ordini dell’aiuto. Aiutare gli altri e migliorare sé stessi, Ed. Tecniche nuove, Milano 2007

Bert Hellinger, Storie d’amore tra uomo e donna, genitori e figli, noi e il mondo, Ed. Tecniche nuove, Milano 2007

Marianne Franke-Gricksch, Tu sei uno di noi, Ed. Crisalide Latina 2004